Il nome del sito, che significa “il valico dei carri”, deriva dall’uso che ne facevano i carbonai tra l’800 e il ’900. Da qui passavano coi loro carri per trasportare traversine e carbone vegetale da inviare nella penisola italiana per il rinnovo delle linee ferroviarie e come combustibile per i treni.
Il villaggio sorge nella celebre valle di Lanaitho e si estende per un’area di circa quattro ettari, di cui solo una piccola parte è stata portata alla luce.
Al suo interno si trovano alcune strutture cultuali piuttosto rare e molto affascinanti.
La più interessante è senz’altro la fonte sacra, un ambiente circolare in blocchi di basalto di circa 2,5 metri di diametro, dotato di una seduta che corre lungo il perimetro interno. Al centro è presente un bacile forato in arenaria per la raccolta delle acque.
Al di sopra della panchina erano originariamente collocate 9 teste di ariete in calcare (ne rimangono 7) dalla cui bocca zampillava l’acqua che confluiva nel bacile centrale. Le protomi erano collegate fra loro da una canaletta interna impermeabilizzata con colate di piombo. Il sistema idraulico di questo tempio è certamente una delle più grandi opere di ingegneria della protostoria sarda.
A pochi metri di distanza si trova una vasca cerimoniale a gradoni di forma circolare che veniva riempita d’acqua per svolgere riti, presumibilmente, di purificazione rituale. La struttura, di 6 metri di diametro, presentava un fondo ricoperto di argilla impermeabile.
Nel sito, in particolare nella fonte, sono stati trovati dei veri e propri tesori archeologici come navicelle di bronzo con protomi di toro, cervo e muflone, vaghi di collana in ambra e un vaso del tipo ad askos in lamina bronzea di eccezionale fattura. Nelle vicinanze, invece, sono state trovate dieci spade di bronzo fermate da una colata di piombo, che sono state interpretate come un’offerta rituale.